Matt Hyde, pastore della Discovery Church di Boise, nello stato dell’Idaho (USA), ha appreso che nella sua città vivono rifugiati provenienti da molti paesi. Provengono dall’ex Jugoslavia, dall’Africa, dall’Asia e dal Medio Oriente.
Molti di loro sono scappati dall’oppressione politica o dalla guerra civile e hanno trascorso del tempo in rozzi campi profughi prima che fosse loro accordato il permesso per trasferirsi negli Stati Uniti. Quasi tutti hanno superato traumi incredibili.
Questi rifugiati hanno cambiato la vita di Hyde e della sua congregazione e oggi alcuni di loro sono membri della Discovery Church. Un gruppo di credenti del Bhutan e del Nepal utilizza la struttura della chiesa per la propria congregazione, così come una chiesa congolese e una chiesa etiope/eritrea. E i membri della chiesa di Hyde ora vanno regolarmente in aeroporto ad accogliere i rifugiati quando arrivano in città.
Hyde racconta che “queste persone hanno sopportato cose che non si possono immaginare. Eppure hanno così tanto amore per Cristo. Questo ci ha reso più umili. Non appena sono diventato loro amico, il mio cuore è stato risvegliato nella chiamata a raggiungere le nazioni”.
Quando Dio mostrò a Hyde che la Discovery Church avrebbe dovuto ministrare alla popolazione rifugiata a Boise, egli si rese conto che ciò avrebbe comportato uno sforzo per alcuni dei suoi membri. Ma la compassione lo costrinse.
Per Hyde e molti altri cristiani amare i rifugiati è un mandato biblico, non una posizione politica. Lui e il suo team indicano passi come Levitico 19:34 (“Lo straniero che risiede fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi”) e Zaccaria 7:10 (“Non opprimete (…) lo straniero e il povero”) i quali rendono ovvio il fatto che avere cura degli immigrati e dei rifugiati è un mandato centrale per il popolo di Dio.
Ma come adempiere a questo mandato in un’era di terrorismo globale?
Molti paesi stanno chiudendo le porte ai rifugiati perché molti militanti islamici si stanno intrufolando attraverso le frontiere con delle bombe. In alcuni casi, il nazionalismo e la xenofobia hanno raffreddato i cuori verso gli stranieri che hanno bisogno di riparo e di cibo.
La scorsa settimana negli Stati Uniti il presidente Trump ha firmato un’ordinanza esecutiva sospendendo tutte le ammissioni di rifugiati per 120 giorni. Quest’ordinanza è anche restrittiva nei confronti dell’immigrazione da sette paesi a maggioranza musulmana e esclude tutti i rifugiati siriani a tempo indeterminato.
Alcuni plaudono a questa sua decisione perché credono che la nostra legge permissiva sull’immigrazione aiuti i terroristi, mentre altri vedono l’ordinanza esecutiva come un tradimento meschino della compassione che ha tradizionalmente contraddistinto l’America.
Gli assistenti del presidente hanno assicurato che l’ordinanza mira a migliorare il processo d’esame delle credenziali e che comunque ha un carattere solo temporaneo.
È complicato, ma il regno di Dio a volte è in conflitto con le opinioni delle parti politiche. L’amore di Dio dovrebbe essere esteso agli oppressi, qualunque sia la convinzione politica di ciascuno.
Proverbi 24:11 ci comanda: “Libera quelli che sono condotti a morte, e salva quelli che, vacillando, vanno al supplizio”. Che tragedia quando molti cristiani che sono orgogliosi di essere “a favore della vita” riguardo al problema dell’aborto, si rallegrano di tenere dei rifugiati innocenti al di fuori del paese in nome della “sicurezza”.
Sarebbe buono che le chiese sviluppassero delle riflessioni da tradurre anche in azioni su alcuni punti:
- Conoscere la popolazione rifugiata nella propria città, costruire delle relazioni e capire come la si può aiutare.
- Fare donazioni o collaborare con organizzazioni cristiane che stanno aiutando i profughi alle frontiere.
- Mobilitare la propria chiesa a provvedere dei kit di benvenuto, pasti, formazione professionale o corsi di lingua per i rifugiati nella propria zona.
- Fornire un ministero di consulenza e preghiera per i rifugiati che hanno subito dei traumi.
Bisogna far sentire la propria voce per conto degli oppressi e bisogna farlo con un senso di urgenza. Alcuni rifugiati non hanno a disposizione tre mesi per languire nei loro squallidi campi.
Il coraggio morale, non la paura del terrorismo, dovrebbe guidare le nostre politiche. Non dobbiamo permettere che il nostro amore si raffreddi rimanendo sordi alle persone che hanno bisogno del nostro aiuto.
Riadattato da un articolo di J. Lee Grady pubblicato sul blog Charisma News
Libri suggeriti per approfondimenti:
- Libri sulle missioni;
- Libri delle edizioni Porte Aperte.